Di Salvatore Leo e Ettore Paris
Liceo Da Vinci
Come già detto, al Liceo “Da Vinci” di Trento un’ampia maggioranza del Collegio Docenti (72 su 120) ha bloccato l’adozione del piano per l’alternanza scuola-lavoro. Abbiamo chiesto a due rappresentanti del gruppo, i docenti Massimo Pellegrini e Antonio Carapella, il loro punto di vista.
Cosa non va di questa legge?
Viene modificato quello che è il senso dell’esperienza scolastica: la scuola non è più il luogo di formazione dei cittadini ma il luogo di preparazione di esecutori materiali, gente che deve abituarsi a svolgere dei compiti, avere delle mansioni. Quello che preoccupa è che l’alternanza diventa componente strutturale dell’offerta formativa. La scuola si mette a disposizione delle aziende.
A conti fatti, 200 ore nei tre anni significano 63 ore all’anno, cioè due settimane. È davvero così impattante questo monte ore?
Il problema è il carico di lavoro per i ragazzi: già oggi il lavoro scolastico e le attività di recupero richieste dalle famiglie saturano i loro pomeriggi. Nel quinto anno poi, tra corsi di preparazione ai test di ammissione e visite all’università, i ragazzi mancano minimo una settimana; incastrare altre 63 ore ci sembra una follia. Altro aspetto: questa attività diventerà oggetto di una terza prova dell’Esame di Stato. Come si fa a tradurre in valutazione curriculare un’esperienza spesso così generica che i ragazzi svolgono fuori dalla scuola?
Oltre al fattore tempo, quali aspetti non vi convincono?
La tendenza all’obbligatorietà di queste esperienze. Se finora, entro certi limiti, sono state valide, è perché erano liberamente scelte dallo studente: questo ha consentito di organizzarle meglio. Non va trascurata la questione dei diritti dei ragazzi che comunque sono equiparati ai lavoratori, tranne che per la parte retributiva. Nei tirocini tradizionali, i ragazzi venivano pagati attorno ai 70 euro la settimana. Con questi tirocini il pagamento è zero. È una questione di principio: se uno lavora deve venir pagato, altrimenti che educazione stiamo dando?
Secondo i fautori dell’iniziativa, l’esperienza ha per scopo il confronto con la realtà lavorativa, più che l’acquisizione di nuove competenze spendibili. Perché ritenete questo inutile?
Questa pretesa di acquisire competenze spendibili nel mercato del lavoro è un’illusione: al massimo si tratta di un’infarinatura. È lì che ci stanno portando, alla scuola dell’infarinatura. I ragazzi, nell’esperienza dell’alternanza così strutturata, vedono una versione del lavoro edulcorata, col tutor che li accompagna tenendoli per mano. Sembra più una gita scolastica in azienda che lavoro vero. È evidente che si cerca di togliere valore critico all’esperienza scolastica.
Perché nel vostro documento, si parla di funzione docente snaturata dal ruolo di tutor?
Per il rapporto che l’istruzione pubblica è obbligata a instaurare con i privati, consentendo loro di far valere i propri interessi. La funzione docente cambia radicalmente: il lavoro scolastico non è più orientato a far crescere culturalmente, mentalmente e civilmente gli alunni, ma ad essere funzionale all’azienda. La legge questo lo dice in maniera chiara.
Ma si tratta solo di una parte ridotta della programmazione didattica…
Che però potrebbe incidere in maniera notevole: abbiamo più di 600 studenti al triennio da coinvolgere obbligatoriamente. Il lavoro organizzativo diventerebbe preponderante.
Pietro Di Fiore, Segretario UIL Scuola
Che idea s’è fatto di questa iniziativa?
Ci sembrano i soliti progetti con tanto fumo e poco arrosto. Per dieci anni ci siamo formati sulle competenze e macrocompetenze, ma ora andiamo sulle micro competenze. Il trilinguismo e la scuola-lavoro ricercano la micro abilità, la micro utilità. Passa l’idea che la scuola debba puntare non a formare, ma ad addestrare. Agli studenti si chiede di utilizzare parte del loro orario nelle aziende, mentre agli operai delle aziende decotte chiedono di formarsi: è un corto circuito. Alcuni progetti anche con il supporto delle aziende potrebbero essere accettabili, ma devono essere monitorati e valutati. Per le professionali può esserci un’utilità, per i tecnici forse qualcuna, ma trovarla per i licei è difficile.
Però anche il contatto col mondo lavoro può essere un momento formativo…
Senz’altro, però come è stato messo da legge e delibera è tutto raffazzonato, più costruito per fare fumo e apparenza che formazione. A livello nazionale mi dicono che agli studenti si dice “cercati un’azienda”, con i professionali che vengono messi a fare lavoretti senza nessuna qualificazione. È l’idea della scuola facilmente spendibile, un’efficienza preordinata all’efficacia.
Forse è una questione di tempi ristrettissimi…
Senz’altro.
E una questione di numeri: non ci sono troppi studenti per poche imprese?
Gli insegnanti della formazione professionale, che da anni organizzano stage, esprimono forti dubbi su avere un numero di imprese adeguato. Abbiamo aziende che riducono orari di lavoro, chiedono contratti di solidarietà… non so come possano dare spazio a stagisti. I progetti di alternanza potrebbero esserci, ma più mirati, non a pioggia.