Come i giovani vivono il sesso al tempo degli smartphone
Sex & app, ovvero come l’uso di tecnologie ha modificato il nostro modo di comunicare la sessualità. A dire il vero, ci interessa poco quella degli adulti, che da un lato hanno accesso a qualunque contenuto (legale o meno che sia) disponibile sul web, e che dall’altro, casi limite a parte, in qualche modo hanno maturato un percorso di sviluppo sessuale. Ci interessa capire come questo (relativamente) nuovo modo di vivere le relazioni venga declinato tra gli adolescenti, nella fase della scoperta della propria identità sessuale.
Nell’intervento della dott.ssa Chirico, nella scheda in basso, vi potete probabilmente ritrovare in qualche passo della cronistoria di come gli adolescenti hanno comunicato la propria sessualità nei decenni. E oggi, come funziona?
Dimenticate i bigliettini lasciati furtivamente negli astucci dell’amato/a, o il telefono fisso e la possibilità di dover negoziare con i suoi genitori la prossima uscita, o ancora l’amico fidato che recupera informazioni, o che sonda i sentimenti dell’amata per capire se è il caso di lanciarsi o lasciar perdere. Oggi tutte queste informazioni si ottengono facilmente, anche prima di instaurare qualunque relazione con la persona che interessa: con la disponibilità della tecnologia, non c’è motivo di crearsi una rete di amici fidati per raccogliere informazioni, perché sono disponibili con un paio di click sui social network. Non è più necessario sapersela cavare con i genitori di lei, perché con le messaggerie istantanee (Whatsapp e simili) la comunicazione è diretta, senza la necessità di intermediari.
Tutto questo, se da un lato favorisce l’instaurarsi del rapporto diretto fra le persone, dall’altro ostacola la formazione di quelle competenze relazionali che si dovrebbero acquisire durante l’adolescenza, quali la costituzione di una propria rete sociale e la maturazione della relazione con gli adulti.
Abbiamo chiesto a due psicologhe, la dott.ssa Laura Dondè e la dott.ssa Martina Rinaldi, dello studio Centro Percorsi, esperte in tematiche di relazioni tra adolescenti, di raccontarci come avvengono i contatti e la comunicazione della sessualità al tempo dello smartphone.
Come ci si conosce
La conoscenza fisica tra persone, se non è forzata da eventi esterni, avviene essenzialmente attraverso i social network. Poco importa che ci si trovi a passare ore gomito a gomito nella stessa classe o nello stesso gruppo sportivo. Dicono le nostre esperte: “Se chiediamo ad un adolescente di oggi: ‘Che cosa fai quando ti piace una persona?’, risponde: ‘Lo cerco su Instagram’. Ciò significa due cose: la prima, è che per un adolescente è impossibile non avere un profilo su un social; la seconda, è che la conoscenza virtuale precede quella in presenza fisica. Mentre nelle relazioni fisiche la conoscenza di gusti, attitudini, stili di vita, aspetti caratteriali avviene in uno scambio di informazioni che ha luogo in una condivisione di esperienze e nell’arco di un tempo più o meno lungo, in rete questo processo avviene al contrario: digitando un nome si accede ad una serie di informazioni che rappresentano l’identità virtuale di una persona”.
Ma l’identità virtuale può non corrispondere all’identità reale: la persona può gestire il proprio profilo social estremizzando alcuni aspetti e nascondendone altri, cosa più difficilmente realizzabile quando la relazione si sviluppa nella vita reale. Si rischia, quindi, di perdere il piacere di conoscere l’altra persona in maniera graduale, di accettarne pregi e difetti e di sviluppare insieme la relazione.
La comunicazione è essenziale, poco articolata, e molto spesso avviene nel chiuso della propria camera. Le emozioni vengono espresse con emoticons (le faccine). La misura del proprio valore sociale è costituita dai like o dalle condivisioni dei post.
Un altro elemento che dà la misura del proprio valore sociale è il tempo di lettura e risposta ai messaggi: si è sviluppato un vero e proprio codice di comunicazione che passa attraverso le cosiddette spunte blu, il simbolo di Whatsapp che compare a fianco di ogni messaggio inviato, e che indica se il messaggio è stato recapitato, letto o ignorato: dopo aver inviato il messaggio, l’adolescente valuta quanto tempo passa tra la lettura del messaggio (spunta blu) e la risposta. Se ciò non avviene, potrebbe generarsi l’ansia da rifiuto: “Perché non mi risponde subito? Non le piaccio? Non le interesso?”.
Ma c’è di peggio.
Lo scambio di immagini pornografiche
Una di queste cose spiacevoli è il cosiddetto sexting: derivato dalla fusione delle parole inglesi sex (sesso) e texting (inviare messaggi elettronici), è un neologismo utilizzato per indicare l’invio di messaggi, testi e/o immagini sessualmente espliciti, tramite il cellulare o altri mezzi informatici.
Ce lo spiegano Dondè e Rinaldi: “Spesso il bisogno di essere amati, accettati, apprezzati dal gruppo porta a mostrare ed assumere comportamenti fortemente a rischio per la propria incolumità ed immagine sociale, come, ad esempio, fotografare o videoriprendere immagini sessualizzate del proprio o altrui corpo, o di atti sessuali che poi vengono successivamente diffuse”.
Si fa una gran confusione tra essere popolari ed essere amati: si pensa che rendersi disponibili dal punto di vista sessuale sia la via per ottenere l’accettazione sociale. Gradualmente ci si costruisce un’immagine di sé che non corrisponde a ciò che si sente di essere, e questa confusione tra ciò che sento di essere e ciò che trasmetto di me porta a sensazioni di profondo smarrimento, di angoscia, di perdita dei propri punti di riferimento e perdita di se stessi.
Continuano le psicologhe: “Due ragazzi che hanno una relazione possono inizialmente vivere lo scambio di foto come un brivido intenso nell’esplorare la sessualità senza giungere al rapporto completo. Nel tempo, ed a seguito della chiusura del rapporto, tale materiale può essere utilizzato per denigrare e ledere la persona da cui ci si sente feriti”.
Lo scambio di foto pornografiche diventa un grosso problema proprio al termine della relazione: in primo luogo, non si ha mai la certezza dell’entità della diffusione del materiale, che diventa praticamente incontrollabile e che può degenerare nel cyberbullismo. Ciò che condividiamo oggi non sarà possibile farlo dimenticare domani.
Per fare un esempio: una fotografia compromettente, se scattata e stampata in forma non digitale, poteva essere eliminata definitivamente bruciando stampe e negativi. Ciò vale anche per la foto in digitale o per il video, se non viene condiviso sui social. Quando invece ciò avviene, la foto o il video diventa di dominio pubblico e chiunque può prenderne possesso e farne l’uso che vuole. Diventa difficile, per i soggetti ritratti, controllare la diffusione della fotografia e praticamente impossibile la sua eliminazione.
C’è poi un altro risvolto di cui i ragazzi spesso non sono consapevoli. Essere in possesso di immagini a sfondo sessuale di minorenni sul proprio telefono costituisce un reato penale che ha il nome di detenzione di immagini pedopornografiche, che può aggravarsi in diffusione di immagini pedopornografiche se dette immagini vengono poi diffuse.
Che fare?
Come abbiamo visto, l’uso improprio delle tecnologie può avere risvolti anche gravi. A questo punto, però, è d’obbligo fare una precisazione: la presenza dei rischi che abbiamo qui evidenziato non implica necessariamente che la qualità generale delle relazioni affettive sia oggi peggiore o migliore di quella di una volta.
Non intendiamo fare qui confronti tra epoche in cui i tempi andati erano meglio di quelli odierni: prima di Internet, infatti, l’ansia da rifiuto si generava nelle telefonate o nelle lettere che non ricevevano risposta. L’appartenenza sociale non si misurava con i like ma con la quantità di vestiti firmati. La preoccupazione degli adulti verso la gioventù bruciata esisteva anche nei tanto mitizzati anni Sessanta.
Di conseguenza la soluzione corretta non è il cosiddetto luddismo: eliminare lo smartphone o impedire l’uso dei social sono stupidaggini che costringerebbero l’individuo all’isolamento totale. Oggi, per un adolescente, non sarebbe possibile avere una vita sociale senza i social network.
È necessario invece prendere atto del contesto in cui gli adolescenti si muovono ed insegnare loro a usare consapevolmente i social: da anni si cerca di far passare questo concetto nelle scuole, con progetti di educazione digitale, che riscuotono anche un certo successo, e che sicuramente raccolgono l’interesse degli studenti stessi.
Manca però una cultura diffusa su questi temi. Molto spesso sono gli adulti stessi che avrebbero bisogno di comprendere i meccanismi della comunicazione dei social network: la realtà dei fatti racconta invece di troppi genitori che, non conoscendo le tecnologie, abbandonano per comodità i ragazzi a se stessi, rischiando poi di scoprire troppo tardi cose spiacevoli.
Insta-love: l’affettività in viaggio dal drin al click
“Driin drinn”
“Pronto?”
“Buonasera, signor Rossi, sono Michele compagno di classe di Silvia: posso parlare con lei?”
“Ma certo. Silvia, è per te”
“Grazie papà”
Il telefono a disco, quello tradizionale che si usava dagli anni ‘50 in avanti, è stato uno strumento di comunicazione nella rete delle relazioni adolescenti molto significativo, per vari motivi.
Prima di tutto, la bellezza di chiedere o entrare in possesso di quel numero di telefono, del ragazzo o della ragazza che interessava, costituiva già un’impresa di per sé. Poi, fare il numero, ricordarlo a memoria e chiamare con il brivido emozionante che potessero malauguratamente rispondere i familiari al telefono e dall’altra il batticuore delle prime chiamate affettuose. E poi esistevano le cabine telefoniche, i gettoni, le schede telefoniche SIP dai mille sfondi a colori, le 200 lire per chiamare da una cabina anche accompagnati dall’amica del cuore per gioire di complicità, di sorrisi o di lacrime in quella chiamata.
E le telefonate mute?
Si chiamava anche solo per ascoltare la voce del ragazzo o ragazza che piaceva e poi riattaccare, o nel caso di una relazione appena iniziata sorgeva una trepidazione mista tra imbarazzo e pudore che portava al mutismo emozionale nell’aspettare che l’altro dicesse qualcosa. Quando la confidenza era già consolidata, la fase finale della chiamata era “Metti giù tu?”. “No, fallo tu”. “Io l’ho fatto ieri, tocca a te”. “No, dai, fallo tu”… per ore e ore.
C’era una pubblicità fantastica: “Ma mi ami? E quanto mi ami? E mi pensi? E quanto mi pensi” – “E io pago!”, che raccontava il susseguirsi di telefonate in casa, la necessità di attivare un avviso di chiamata, già sentore di intasamento di linee per chi possedeva il telefono in duplex (stesso numero per due famiglie). A volte, alcuni genitori, invece, in sentore di esaurimento delle forze, staccavano direttamente la spina del telefono dal muro domestico.
C’erano una volta le lettere. I bigliettini. Lasciati sul banco, dentro l’astuccio, consegnati a mano da un amico dell’altra classe o scuola, pubblicati sul giornalino della scuola o della classe. Quante emozioni in quello scrivere, di proprio pugno, una frase anche fosse copiata dall’incarto interno dei Baci Perugina, che hanno fatto storia, pensando al messaggio, al contenuto da trasmettere e al ricevente.
Un altro cartaceo indimenticabile e soprattutto estivo sono state le cartoline. Scelte, scritte e datate, francobollate e imbucate o dall’hotel o dalla bussola rossa delle poste lungo la strada. Dediche simpatiche, romantiche, in rima o disegnate, spesso firmate da tutta la famiglia, amici del posto, altri familiari. Un senso di connessione e di vicinanza anche a km di distanza.
Un modo artistico di comunicare l’affetto, l’amore e tutti i sentimenti era quello di registrare, spesso e volentieri direttamente dal pulsante REC bollino rosso dalla radio, una serie di musiche in crescente ritmo emozionale ed interrotte alla fine per il sovrapporsi della voce dello speaker radiofonico. I più tecnici usavano la radio con duplicatore di cassetta. La cassetta radio veniva poi donata per essere ascoltata nel Walkman o a casa con momenti di sogni languidi.
Immancabili poi, gli amici “portavoce”: questi amici speciali andavano e venivano allegramente a consegnare i messaggi, nella maggior parte da ragazzi alle ragazze, con frasi tipo “Stravede per te”. “Gli piaci”. “Ti chiede di uscire, ci vai?” senza girarci troppo intorno, diretti all’obiettivo.
Da lì a poco siamo passati poi ai telefoni UMTS: i primi Motorola ed Ericksson si facevano largo, con le loro antennine e partivano così gli squilli – pacco, uno squillo per dire “Ti penso”, due per dire “Scendi”, in un codice pensato e deciso di comune accordo tra pari. Un passaggio fatto di curiosità, di utilità, di voglia di restare uniti, un vero e proprio codice di comunicazione.
Oggi siamo passati da “I ragazzi del muretto” o “della 3 C”, quelli della cabina telefonica, ad una dimensione comunicativa attuale che, ad ampio spettro, sembra avere una misura del tempo e dello spazio di relazione indefinita.
Quale adolescente può oggi ricordare a memoria il primo contatto con batticuore con la ragazza che gli interessa? Non è più necessario: basta aprire una chat, ed eventualmente verificare un messaggio che ce lo ricorda, che riporta data, ora e testo o emoticon inviata, le cosiddette “faccine smiley”.
Se un ragazzo è interessato a una ragazza, basta fare click su un social e apre, attraverso l’app Instagram (in percentuale la più utilizzata dagli adolescenti), tutta la sua vita, i suoi sogni, i suoi desideri, espressi tra foto, commenti, sotto commenti, emoticon, amici, like, musica, immagini, citazioni, orientamenti politici, sessuali, religiosi.
Usando la messaggistica istantanea è semplice anche creare dei gruppi nei quali condividere un melting pot di argomenti: foto, pettegolezzi, per passare alle immagini di tipo pornografico (anche pedopornografico se i soggetti ritratti sono minorenni) confluendo al “sexting”.
Tutto questo senza passare dai genitori, dalla memoria del numero di telefono, dal batticuore che pulsa nella voce, dall’esporsi in prima persona, o con gli amici, nel conoscere l’altra persona e se stessi nella misura di una relazione autentica
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Si ringrazia per la preziosa collaborazione la dott.ssa Isabella Chirico, la dott.ssa Laura Dondè e la dott.ssa Martina Rinaldi del Centro Percorsi di Trento.
Link all’articolo su Qt: https://www.questotrentino.it/articolo/15848/sex_app