Una grande manifestazione di popolo, con un chiaro, inaspettato significato: noi proteggiamo i discriminati
Di Salvatore Leo e Mauro Nones
Sul nostrano Gay Pride, inopinatamente affollato da diecimila persone, riportiamo i commenti di due nostri redattori che hanno partecipato all’evento. Sono commenti personali, che però, partendo dalla propria esperienza, rispecchiano e interpretano motivazioni ed emozioni di un mare di persone. Che fanno emergere, in tempi altrimenti grami, una cultura positiva, e di massa.
Tornato da qualche minuto dal Dolomiti Pride, mi urge dire che è stata una esperienza che la città dovrebbe capitalizzare. Perché è ancora troppo diffuso il sentimento di intolleranza che si scaglia contro persone che amano persone dello stesso sesso, o che decidono di cambiare il proprio, o che per qualche personalissimo motivo decidono di vivere l’amore come accidenti pare a loro, e che chiedono solo di non essere trattati come checche isteriche.
Il patrocinio della Provincia, fortemente osteggiato dal PATT, e i molteplici commenti a sfondo omofobico che si leggono sulla pagina Facebook de l’Adige, consolidata una cartina di tornasole del peggior sentimento cittadino, la dicono lunga su quanto sussista una parte dell’opinione pubblica trentina chiusa verso i temi del rispetto dell’identità sessuale e delle sue sfaccettature.
E invece ecco la splendida giornata di ieri: che dimostra, se ancora ce ne fosse il bisogno, quanto il movimento LGBT non sia una nicchia di drag queen invasate e effeminate, ma qualcosa di molto più ampio in cui si scopre che il vicino di casa, l’amico di vecchia data, il collega di lavoro, alla fine resta pur sempre se stesso, anche se ha fatto scelte sessuali alternative al modello classico imposto da Family Day & Co. Proprio questo aspetto è stato sottolineato nell’arco della giornata: pochi esibizionismi, molta gente comune. A parte qualche sporadico personaggio colorato, è stata la massiccia presenza di gente con pochi fronzoli a fare la differenza.
Nel pomeriggio ho assistito ad un quadretto stupendo: un ragazzo omosessuale chiedeva alla nonna e alla mamma dove fossero gli zii, che si erano attardati nel corteo. Una scena di una normalità totale, da pranzo familiare, che racconta altre migliaia di storie di persone che si sono strette attorno alla comunità LGBT quasi a volerla proteggere, perché per riconoscere i diritti delle minoranze c’è bisogno della protezione della maggioranza. Lo si fa con le minoranze linguistiche, perché non farlo anche per LGBT?
Salvatore Leo
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Decidere di andare al Dolomiti Pride perché mi ero perso l’Adunata degli Alpini? Una domanda che qualche lettore troverà inevitabilmente, ed a ragione, bizzarra. Per me invece è un dubbio venutomi a posteriori e che sembra proprio portare ad una risposta affermativa.
A metà maggio, in previsione dell’invasione alpina che temevo avrebbe portato solo confusione e disagi, avevo deciso di trascorrere alcuni giorni lontano da Trento. Al rientro, ascoltando gli amici e leggendo i resoconti della stampa, mi ero reso conto di essermi perso alcuni bei giorni di festa e di allegria.
Deciso a non ripetere l’errore e mosso più dalla curiosità che da una sincera voglia di dare un segno di testimonianza, nel pomeriggio previsto scendo verso la città. Tra di me considero con orgoglio che è una bella cosa che la mia città accetti di ospitare, a distanza di poche settimane, due manifestazioni che, con una certa semplicità, potrebbero essere definite di carattere quasi opposto.
Giunto in prossimità di un punto del percorso in cui mi aspettavo di poter godere lo spettacolo, mi rendo conto che ai lati della strada di persone in attesa ce ne sono davvero poche e che della sfilata non c’è neppure l’ombra. Qualcosa non quadra e così decido di risalire verso il punto previsto per il raduno, con un retro-pensiero di manzoniana memoria, conseguenza delle polemiche apparse sulla stampa: a Trento “questo… non s’ha da fare, né domani, né mai”.
Ma a piazza Dante ogni dubbio viene dissolto: di folla ce n’è tantissima, allegra e festosa. Nello spazio tra il palazzo della Regione e la stazione ferroviaria migliaia di persone attendono il sospirato ordine di partenza. La ragione del ritardo? Si aspettano folti gruppi di partecipanti dalle province limitrofe che sono ancora in viaggio, la parata è rinviata di un’ora.
La gente non sembra per nulla turbata e sembra pregustarsi la possibilità di sfilare; in continuazione si vedono formarsi gruppetti di persone che scambiano qualche frase e poi si disperdono; l’impressione è quella di una grande, ma tranquilla confusione; sopra il gran vociare domina il suono degli altoparlanti del carro che guiderà il Pride e da cui risuoneranno tante notissime canzoni, cantate anche dai partecipanti, a cominciare da (e non poteva mancare) “Quant’è bello far l’amore da Trieste in giù…”.
Mi è bastato un colpo d’occhio, confermatosi poi durante il mio intrufolarmi di qua e di là, per capire che la maggior parte dei presenti non sono qui per proclamare e difendere la loro “diversità”, ma sono qui, nella loro “normalità”, per sostenere i diritti di una minoranza. I sorrisi, gli sguardi dicono tutti la stessa cosa: non ci importa quali siano le tue usanze, i tuoi costumi, le tue abitudini; se quello che fai non lede i diritti degli altri, se sai convivere civilmente e rispetti le leggi del paese in cui vivi, noi ti accettiamo, ti rispettiamo come persona e vogliamo manifestare per difendere i tuoi diritti.
Nella piazza si vedono normalissimi gruppi di amici di ambo i sessi, si vedono aderenti ad associazioni di ogni genere e che in molti casi nulla hanno a che vedere con il tema gay, si vedono famiglie al completo, inclusi i bimbi più piccoli. Agli slogan caratteristici di un Pride si accompagnano quelli di una manifestazione per i diritti civili. La presenza dei trentini è dominante e mostra chiaramente la volontà di dare un segnale di civile partecipazione a sostegno e basta.
Sono contagiato dall’entusiasmo. Mi avvicino al banchetto che vende vari gadget con i colori arcobaleno: cappellini, bandiere, fasce, zainetti. Tutto esaurito. Sono rimaste delle magliette, ma anche quelle sono andate a ruba e ci sono solo quelle della misura small. A me servirebbe una medium, ma decido che non sarà certo una maglietta troppo attillata a impedirmi di sfilare.
P. S. L’evento continuerà in modo ancora più festoso e con una partecipazione ancora più numerosa sui prati del parco al quartiere delle Albere. Una gran festa di tutti, che tra pic-nic, giochi di bimbi, canti e balli ed un palco dove si alterneranno a suonare numerosi gruppi, continuerà fino a tarda sera. Rimango fino alla fine, orgogliosamente indossando la mia maglietta.
P. S. 2 Pensieri più recenti. In questi giorni in cui lo stesso Ministro dell’Interno sobilla contro il “diverso”, in cui la paura prende il posto della tolleranza, in cui la parola interculturalità potrebbe tranquillamente essere cancellata dal vocabolario italiano e nessuno se ne accorgerebbe, mi pongo questa domanda: se qualcuno avesse il coraggio di organizzare a Trento un “Rom e Sinti Pride” o magari un “Migrants Pride”, saremmo capaci di dare lo stesso segnale di grande e civile partecipazione?
Mauro Nones