La serata Bisesti-Segnana: ossia la teoria che giustifica lo stop ai corsi di educazione di genere. E la pessima gestione di un incontro troppo riservato.
Articolo pubblicato su Questotrentino del 2 marzo 2019
Venti minuti prima dell’inizio dell’evento, davanti al palazzo di piazza Dante si accalca una folla di almeno 150 persone che vogliono entrare. Silenziose, sembra un gruppo che attende il suo turno per entrare a teatro. La porta ancora chiusa, sorvegliata da uscieri provinciali, nulla fa presagire un pomeriggio di tensione.
All’apertura, passano una trentina di persone, fotografi e stampa, me compreso. La sala è già quasi piena, ma la gente che voleva entrare è praticamente tutta fuori. “Qua scoppia un casino” – penso.
Il titolo dell’incontro è “Donne e uomini, solo stereotipi di genere o bellezza della differenza?” Si tratta di un dibattito pubblico, anche se il pubblico è davvero poco, a causa della capienza della sala. Tra i presenti riconosco alcune persone che non sono certo lì per battere le mani agli assessori. Mi aspetto un dibattito finale interessante.
Introduce l’assessore provinciale all’Istruzione, Università e Cultura della Provincia, Mirko Bisesti: nel suo breve intervento sottolinea a più riprese la volontà di confronto sui temi delle differenze di genere, da parte della Giunta provinciale, anche in seguito alle note polemiche degli ultimi mesi, e la necessità di affrontare la questione in maniera scientifica e professionale senza scivolare nella fake news. C’è la volontà di fare anche altri incontri sul tema, promette Bisesti, e tutte le posizioni avranno modo di essere rappresentate.
Seduti assieme a lui, l’assessore provinciale alla Salute, Politiche sociali, Disabilità e Famiglia, Stefania Segnana, i tre relatori del convegno e il Capo Ufficio Stampa della Provincia Giampaolo Pedrotti.
Le relazioni
Fra i relatori, spicca l’intervento della dott.ssa Maria Cristina Del Poggetto, medico-chirurgo, specialista in psichiatria, psicoterapia sistemico-relazionale, mediatore familiare relazionale. La posizione della dottoressa è chiara: le differenze di genere ci sono e studi scientifici ne dimostrano la consistenza. Una persona è uomo o donna perché è la natura ad imporlo. Non c’è spazio per le differenziazioni tra sesso e genere, quindi, con buona pace di chi è convinto che sia il contesto sociale, la cultura e le esperienze a formare la persona e la propria identità. Mi sforzo di restare neutrale, e per un po’ ci riesco.
La relazione è molto dettagliata, ma a mio avviso poco adatta ad un dibattito pubblico, visto il linguaggio da addetti ai lavori usato.
Il problema sono però le tesi sostenute: buona parte degli stereotipi su maschi e femmine, avrebbero, nei fatti, una loro giustificazione biologica.
La maggior presenza, in carcere, degli uomini rispetto alle donne, ad esempio, sarebbe da imputare ad un dimorfismo morale, ossia una connaturata differenza cerebrale tra i due sessi, che porta le donne a vivere secondo un più marcato senso del dovere ed una minor propensione al reato; gli uomini, invece, sono guidati da un più spiccato senso utilitaristico, che li porterebbe ad una maggiore (e quindi naturale) tendenza a commettere reati rispetto alla donna. La mia neutralità vacilla.
Si parla poi di quoziente di intelligenza: la donna tenderebbe a mantenersi sui livelli normali, mentre l’uomo o eccelle o non capisce niente, cui segue la classica sciorinata di stereotipi sull’uomo più bravo in materie scientifiche, ed altre cose già sentite.
E ancora: naturali differenze biologiche giustificherebbero la maggior propensione femminile al multitasking, praticamente assente nel maschio. Esilarante l’esempio che lo dimostrerebbe: se dici a un uomo di far bollire l’acqua, quello accende il fuoco e resta lì impalato ad attendere le bolle di vapore, mentre la donna, nello stesso tempo, fa mille cose. La platea mormora e reagisce con smorfie tra il sarcastico e il divertito. La mia neutralità crolla rovinosamente.
Trovo conferma di quanto ha scritto qualche giorno prima del convegno il prof. Cubelli, professore ordinario di Psicologia e Scienze Cognitive all’Università di Trento: “Si vuole contrapporre una presunta rigidità biologica, fonte di valori immutabili, a una cultura rispettosa delle differenze e dei percorsi individuali considerata una minaccia alle tradizioni” (Corriere del Trentino, 19 marzo).
Per fare un esempio, sarebbe legittimo pensare che gli uomini che amano la danza classica o le donne che giocano a calcio siano degli scherzi della natura: il rischio è che queste tesi creino il terreno fertile per giustificare discriminazioni, violenze e bullismo contro chi fa scelte di vita difformi dalla maggioranza. Poco importa che esista una realtà sociale in cui i generi si esprimono in mille sfumature diverse, da rispettare e valorizzare.
Rifletto su cosa un bulletto di scuola superiore potrebbe estrarre da ragionamenti di questo tenore, e sull’urgenza di attivare, proprio nelle scuole, quei corsi di educazione alle differenze sospesi a dicembre.
La protesta silenziosa e i rumori del corridoio
Nel corso dell’intervento di Del Poggetto, circa un terzo delle persone presenti si alza, mostra dei cartelli e se ne va, consigliando agli oratori di studiare, e di lasciare alla scuola il ruolo di promotore della cultura dell’uguaglianza. Si tratta di un’azione pacifica, organizzata da un gruppo di attivisti di “Non una di meno”, che Bisesti, ovviamente, non ha apprezzato, ma che viene applaudita dalla folla di persone nel corridoio esterno all’aula, che non è riuscita ad entrare.
Dopo poco si sente una certa concitazione in corridoio. Schizzo fuori assieme ad alcuni fotografi, e vedo una cinquantina di persone discutere con una coppia di carabinieri ed un paio di uscieri della Provincia. Persone rumorose, un po’ arrabbiate, ma pacifiche: chiedono di entrare, perché interessate al dibattito. Si sentono sfottò alla Lega da parte dei ragazzi presenti. Nella folla radunata in corridoio ci sono molti giovani, anche adolescenti, che sono i più rumorosi. Ci sono anche diverse persone più adulte, insegnanti, professori universitari, che sembrano increduli a quanto sta accadendo. Ma nonostante tutto, i (due) carabinieri e la sicurezza (una persona) non fanno fatica a mantenere la calma. Il tempo di scattare una foto e rientro in sala.
Dopo qualche minuto, Bisesti esce dalla sala, va nel corridoio e parla con alcune persone, collaboratori della Lega a giudicare dall’Alberto da Giussano sulle giacche: “Fate entrare le persone che vogliono assistere in maniera educata e civile”, dice, ma le forze dell’ordine non lasceranno passare più nessuno. I posti lasciati liberi da “Non una di meno” resteranno tali.
L’intervento della Polizia
Altri rumori fuori dalla sala: provo ad andare a vedere, ma un muro di poliziotti impedisce di passare. È il momento dell’intervento della Polizia: si sentono per diversi secondi urla di persone spaventate, poi la porta che si chiude ed il silenzio. Restano a terra alcuni bigliettini di contestazione alla Lega recanti insulti per Bisesti e Segnana.
Ciò che è successo l’ho poi rivisto in alcuni video. C’è il dirigente di pubblica sicurezza che per tre volte dà l’ordine di disperdersi. Ci sono i manifestanti, per lo più giovanissimi, che lo irridono e lo applaudono sarcasticamente, ma che non stanno opponendo resistenza. C’è l’azione delle forze dell’ordine che spingono i manifestanti verso l’uscita, ma non si notano particolari violenze da parte della polizia. Dal canto loro, alcuni studenti, anche minorenni, hanno raccontato di essersi fatti davvero male nel corso dell’azione.
Da quel momento Bisesti non parlerà d’altro. D’ora in poi pensa solo alla comunicazione esterna: c’è da marcare la differenza tra il dibattito pacifico del convegno e la violenza delle persone respinte, occasione ghiottissima offerta (si fa per dire) dall’ingenuità dei manifestanti e dall’eccesso di zelo delle forze dell’ordine.
Il falco e la colomba
Al termine delle relazioni, il dibattito procede pacato ed educato. Il confronto tra visioni anche diametralmente opposte è assolutamente rispettoso. Sono presenti tra il pubblico alcune educatrici dei famosi corsi sospesi, e il dibattito va subito al dunque.
L’assessore Segnana spiega che la sospensione è stata decisa quando qualche dirigente e qualche genitore ha lamentato “uscite dal seminato” rispetto a quanto previsto dal programma: in pratica, non sarebbero state gradite alcune divagazioni sul tema dell’educazione sessuale, laddove era prevista una “educazione alle differenze”, e cioè un punto di vista centrato sulle relazioni.
A noi di QT risulta che tutto ciò sia avvenuto senza consultare i dirigenti scolastici delle scuole del Trentino, secondo quanto ha affermato il loro presidente, prof. Paolo Pendenza, nel numero di QT di febbraio 2019: una procedura poco ortodossa per una decisione così importante.
A chiusura della serata, Bisesti ha parlato (poco) dei temi del convegno e (molto) delle persone appena respinte dalla Polizia. Un mantra ripetuto anche nelle interviste successive al dibattito. Alla mia domanda sul destino dei corsi sospesi, Bisesti sfugge palesemente: “I corsi andranno avanti, ma non nell’ottica dei bigliettini che mi ritrovo del tipo Lega Bisesti e lascialo legato (riferendosi ai bigliettini lasciati dai manifestanti nel corridoio, n.d.r.). Se queste sono le proteste di chi si definisce democratico, lascio a tutti commentare”.
Mi ha colto invece di sorpresa l’intervento dell’assessore Segnana. Si intravede, nelle sue risposte, una certa apertura verso le richieste delle educatrici presenti al dibattito, alle quali ha assicurato la disponibilità ad un incontro, e nell’intervista rilasciataci al termine della serata, ci ha confermato la disponibilità a riprendere i corsi, a partire dal 2019/2020. Staremo a vedere.
In sintesi, si legge una certa distonia tra i due assessori: uno, il falco Bisesti, più fedele alla linea dettata da Fugatti e soprattutto Salvini, intransigente nei confronti delle opposizioni e pronto a sfruttarne mediaticamente anche i più piccoli errori strategici; l’altra, la colomba Segnana, aperta al dialogo con le educatrici, disponibile (almeno a parole) a riprendere in mano la decisione. Poliziotto buono e poliziotto cattivo, oppure reali differenze di sensibilità?
Punti di vista di un pomeriggio di ordinaria follia
Cosa ha provocato tutta quella tensione?
Da un lato la scelta di Bisesti e Segnana di organizzare l’incontro in una sala troppo piccola per l’interesse che l’argomento riscuote nell’opinione pubblica, errore ammesso anche dalla stessa Segnana: come si può pensare che vada tutto liscio quando si organizza in una sala da 70 persone un incontro su un tema così dibattuto? Davvero non se lo immaginavano? Davvero era impossibile spostare in un altro luogo l’incontro?
Dall’altro lato, i manifestanti più accesi: per lo più giovanissimi, bloccati nel corridoio della Provincia, avrebbero dovuto allontanarsi al primo ordine di disperdersi da parte della Polizia, o al limite restare lì in silenzio. Al contrario, hanno irriso il dirigente di Pubblica Sicurezza che stava facendo il proprio lavoro, come si vede chiaramente nel video, dando il via allo sgombero. Peggio ancora è stata la reazione dei manifestanti alla provocatoria uscita di Bisesti dalla porta principale e il parapiglia che ne è seguito: quanto accaduto è stato manna dal cielo per Fugatti e Bisesti che non si sono fatti sfuggire l’opportunità per descriversi sui media come coloro che hanno respinto l’assalto di un manipolo di violenti oppositori. E pazienza se la stragrande maggioranza delle persone erano pacifici cittadini che sinceramente avrebbero voluto contribuire al dibattito con la propria opinione.
Bene invece gli attivisti di Non una di meno, i quali, silenziosamente, si sono alzati e se ne sono andati. Un silenzio dal forte valore simbolico, che Bisesti non è riuscito sfruttare a proprio vantaggio, e che anzi lo ha fortemente messo in imbarazzo.
Sulla questione dell’ordine pubblico, il questore di Trento ha detto, in una intervista resa al Corriere del Trentino del 24 marzo, che la scelta di far andare via le persone è stata presa perché “ce l’ha chiesto la Provincia, in quanto non c’erano più posti disponibili”. Ma in assenza di reati o reali pericoli di ordine pubblico, una carica della Polizia non configura un eccesso di zelo? E poi: può la Provincia dare ordini alla Polizia?
Interessante il punto di vista del Rettore dell’Università Paolo Collini, il quale, in un articolo sull’Adige di martedì 26 marzo, ha richiamato l’attenzione sulla necessità di affrontare “argomenti che toccano le persone nelle loro convinzioni più profonde” con cautela e metodo. Un metodo che cura la modalità con cui si imposta il dibattito, e che si impara all’Università. Pertanto, Collini propone che sia l’Università ad organizzare un dibattito pubblico sul tema, rispettando tutte le opinioni in campo e facilitando il dibattito e il confronto anche fra opinioni radialmente opposte.