il 17 luglio 2019 se ne è andato Andrea Camilleri, che per me è stato qualcosa di più di uno scrittore.
C’è qualcosa che mi resterà sempre degli scritti di Camilleri. Oltre all’immensità letteraria con cui ha costruito il personaggio Montalbano, oltre alla coscienza critica di cui è sempre stato lucido interprete, c’è qualcosa di più personale che mi lega a Camilleri
Scriveva e parlava come mio nonno Saro.
Nei suoi libri ho ritrovato la lingua delle mie estati in Sicilia e che poi ho ritrovato in adolescenza, quando i miei nonni materni si trasferirono qui, a Trento, dove poi li salutammo per sempre.
La mia famiglia è originaria di un paese dell’Agrigentino, a 30 chilometri da Porto Empedocle, quella che nella letteratura è la Vigata in cui si muove Montalbano. Quindi la lingua di casa è quella, e mio nonno ne faceva ampio uso, senza compromessi.
Mio nonno e Camilleri appartenevano allo stesso mondo, pur appartenendo a due generazioni diverse, ma vicinissime.
Certo, la storia dei due ha una piccola ma sostanziale differenza: mentre Camilleri non ha mai nascosto, nemmeno durante il fascismo, la sua militanza comunista, il nonno non verrà ricordato per scelte politiche particolarmente ardite.
Era essenzialmente un pragmatico. Fu un adolescente scapestrato: ci raccontava che si divertiva a ‘ncagliari aceddri ossia catturare uccelli. Il 2 giugno 1946 scelse la Monarchia, come moltissimi nel Sud, dove gli ideali partigiani attecchirono meno. Votò DC per sempre, pur dicendo che erano sdiggraziati e latri, ma non nascondeva le sue nostalgie fasciste quando raccontava che con Mussolini putivatu lassari li granai aperti, nuddru tuccava un chiccu (potevi lasciare i granai aperti e nessuno toccava un chicco). A testimonianza della sua nostalgia, da qualche parte, c’era una foto che lo ritraeva con Almirante in visita al paese.
Quando parlava di politica, e noi “fratelli Bocconi” (come chiamava me e mio fratello Rosario) ci divertivamo a stuzzicarlo contrapponendo alle sue nostalgie fasciste i nostri anatemi di sinistra, smetteva di parlare in italiano e si abbandonava al dialetto siciliano, in un fiume di locuzioni, proverbi e imprecazioni conditi da una mirabile e tagliente ironia che avvolgeva i nostri pomeriggi.
Leggendo Camilleri riascolto quei dialoghi, quelle imprecazioni, quell’ironia sottile che è nel sangue delle generazioni che, avendo visto la guerra, davvero non si sarebbero fatte sorprendere da nient’altro.
Leggendo quelle pagine rivedo come in un film quei pomeriggi, che diversamente non riuscirei a recuperare con i miei soli ricordi.
Al maestro Camilleri che ha reso immortale (anche senza saperlo) un pezzo delle mie radici, vorrei semplicemente dire grazie.